sabato 8 settembre 2018

«Tristan e Doralice - Un amore ribelle» di Francesca Cani

Titolo: Tristan e Doralice - Un amore ribelle
Autore: Francesca Cani
Editore: Leggereditore
Genere: Romanzo Rosa
Prezzo e-book: € 4,99
Prezzo libro: € 6,70

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La trama:

Anno Domini 1076. Sopravvissuta alla strage della sua famiglia, Doralice di Lacus trova ospitalità a Canossa, dove la grancontessa Matilda la accoglie come una figlia. Quando l’orrore per l’assassinio dei suoi genitori sembra aver lasciato posto a una tranquilla quotidianità, i piani di conquista di Enrico IV sconvolgono il suo mondo. Tristan di Holstein, indomito guerriero forgiato da mille battaglie, ha un’ultima missione prima di riconquistare la libertà: deve colpire al cuore Matilda, strappandole quanto ha di più prezioso. La sua preda, che osserva con occhi da demonio, uno azzurro e freddo, l’altro ribollente d’oro fuso, è Doralice. Ma la prova dell’amore si rivelerà la più ardua da superare e lo spingerà a disobbedire al suo re, a sopportare torture e rinunce in nome di una felicità che potrebbe non esistere. Perché forse è proprio lui il responsabile di un crimine che non può essere perdonato...

La Recensione (di Lorena, http://lorenarosso23.blogspot.it)

Inverno 1076 - Palazzo imperiale di Acquisgrana.

Filippo di Lacus era pronto ad affrontare il suo nemico. Urlando “Per Matilda di Canossa”, spronò il suo baio e galoppò verso il cavaliere dell’aquila nera, colpendo con la lancia lo scudo dell’avversario. Nonostante la sua velocità, non poté evitare di essere colpito.

La punta della lancia si schiantò sul pettorale dell’armatura togliendogli il respiro. Cercò con tutte le sue forze di rimanere in sella, ma la forza che lo investì lo fece cadere a terra: la schiena contro le rocce, il corpo devastato dallo scontro.

Poi mani salde lo scrollarono e la voce del primo cavaliere lo riportò in sé: la giostra doveva continuare. Sentiva le urla della folla e le incitazioni beffarde del Sovrano: «Non trovate anche voi, signore di Lacus, che stringere alleanze in questo modo sia più stimolante?»

Aiutato da Cagliostro, Filippo si tirò faticosamente in piedi. Dopo aver visto sua moglie Lucilla e la piccola Doralice tra il pubblico, cercò di agire d’astuzia rispondendo al Sovrano: «Perché invece non chiudiamo l’accordo in pace? Così il vostro impero e il regno di Canossa godranno anni d’abbondanza»

Il sovrano, ridendo, gli disse che il suo campione era pronto a battersi fino alla morte pur di divertirlo; e che se lui fosse stato un uomo d’onore non si sarebbe tirato indietro. Inoltre, per salvare la moglie e la figlia, avrebbe dovuto anche vincere.

Cercando di mantenere la calma, Filippo chiese al Sovrano di essere clemente e di far ritirare le sue donne, così che la piccola non dovesse assistere al combattimento. Il Sovrano le fece allora portare nelle sue stanze.

L’araldo annunciò: «Per volere di Sua maestà l’imperatore, il secondo scontro sarà disputato senza protezioni. Entrambi gli sfidanti saranno privi di ogni difesa a parte quella offerta dallo scudo e dall’armatura».

In quel momento lo sfidante lanciò al galoppo il cavallo, passando davanti al sovrano e fermandosi proprio davanti a Filippo. Poi, di colpo, si tolse l’elmo. Il suo volto era di una bellezza pura: il viso di un angelo caduto. I suoi occhi davano i brividi, le sue iridi, avevano colori differenti, una azzurra e l’altra colore dell’oro fuso: per questo motivo Tristan il Sassone era chiamato Occhi del diavolo.

Dopo aver chiesto a Cagliostro di far fuggire le sue donne, Filippo si preparò al combattimento. Nel sentire il corno da caccia lanciargli il segnale, spronò il suo cavallo; ma il Sassone arrivò per primo e lo colpì al braccio facendolo accasciare sul cavallo.

La folla si scatenò mentre Filippo, facendo appello a tutte le sue forze, si gettò a terra e sguainò la spada. Il Sassone lo imitò, dagli spalti la folla lo incitava.

«Fatevi avanti, demonio» ringhiò Filippo.
«Volete forse morire?» rispose il Sassone. «Chiedete pietà. Credetemi, il vostro sacrificio non sarà necessario , se vi dimostrerete umile.»

Accecato dall’ira, con un affondo fulmineo Filippo raggiunse la coscia del Sassone, ma questi, con il sangue che gli sgorgava dalla gamba, lo attaccò a sua volta, penetrando fra le placche della sua armatura. Via via che gli assalti continuavano, Filippo si sentiva sempre più strano, vedeva doppio, tremava. E a quel punto capì: l’avversario non lo avrebbe battuto combattendo, ma lo avrebbe ucciso con il veleno. Il suo ultimo pensiero fu per le sue donne: Lucilla e Doralice.

Approfittando dei preparativi del banchetto, Cagliostro radunò una scorta e poi, con molta attenzione, riuscì a trovare la stanza dov’erano chiuse Lucilla e Doralice: le coprì con il mantello e le fece fuggire.

Alcuni giorni dopo, la granduchessa Matilda di Canossa stava viaggiando in carrozza con le sue ancelle, quando all’improvviso la carrozza si fermò. Matilda scese senza indugio per capire cosa stava succedendo: il capitano delle guardie teneva tra le braccia un piccolo corpo immobile, deciso a disfarsene.

Dopo aver chiesto spiegazioni, la granduchessa pretese che la bambina avesse una degna sepoltura. Ma quando la sfiorò con una mano, si accorse che respirava ancora. Si slacciò pertanto il mantello e lo avvolse intorno alla piccola. Il gesto di stringerla a sé, le riportò alla mente la sua piccola Beatrice, che era vissuta solo pochi giorni.

Matilda chiese pertanto alle guardie di riportarla al castello di Canossa, dove avrebbe potuto aiutare la piccola. Dopo averle dato le cure necessarie, la bimba si riprese e le parlò di sé: disse di chiamarsi Doralice. Piano piano, poi, ricordò quello che era successo: il fuoco, le grida, la disperazione di sua madre, la morte. Poi, ricordando cosa le aveva detto la mamma, tirò fuori dalle pieghe del suo vestito una cuffia, con sopra lo stemma dell’unicorno blu.

Matilda riconobbe il simbolo sulla cuffietta e dopo aver saputo dalla bimba che anche il padre probabilmente era morto le disse di stare tranquilla, da ora in poi lei sarebbe stata la sua protetta e nessuno mai le avrebbe fatto del male. Doralice sapeva che non sarebbe stato facile dimenticare l’orrore che aveva visto ma, come diceva suo padre, doveva lasciare passare il tempo per alleviare le sue ferite.

1088, Lago di Garda, rocca di Lacus - Doralice, prendendo per mano una delle giovani serve, iniziò a correre libera e felice. Da quando era tornata a Lacus, si sentiva felice e spensierata: neppure le ore di ricamo riuscivano a toglierle la voglia di correre e di giocare.

Costanza, la sua vecchia nutrice, la chiamò e iniziò a rincorrerla per cercare di fermarla. Dopo aver corso ancora un po’, Doralice si fermò, proprio mentre Costanza le stava dicendo che non avrebbe mai trovato marito se non si fosse calmata un po’. Doralice le disse di non essere preoccupata del suo futuro, lei non desiderava trovare marito. Precisò inoltre che la granduchessa voleva solo che lei fosse felice: proprio per questo, in fondo, l’aveva lasciata tornare a Lacus e le aveva assegnato il compito di teneri i conti e le spese della sua opera di fondazione.

Finita la discussione, Doralice si recò al cantiere per vedere come procedevano i lavori, promettendo di rientrare in casa prima di cena. Giunta al cantiere, vide che la copertura era quasi finita. Dopo aver fatto i complimenti al capomastro per il lavoro svolto, questi le precisò che non avrebbero finito i lavori in tempo per la data programmata, quando la costruzione doveva essere consacrata. Doralice, però, gli diede iena fiducia.

Mentre stava ancora parlando col capomastro, Doralice si accorse che al cantiere c’era un uomo nuovo: era molto alto, muscoloso e si muoveva velocemente. Aveva lunghi capelli scuri legati dietro alla nuca e la barba cespugliosa. Il capomastro le disse che era un pellegrino che veniva dal nord e che se avessero avuto altri uomini come lui, sicuramente avrebbero finito in tempo.

A un tratto quell'uomo si voltò nella sua direzione. Quando i loro occhi s’incontrarono, lei si sentì travolta da quello sguardo: quelle iridi erano una azzurra e l’altra color dell’oro. Via via che si avvicinavano a lei, la ragazza strinse i pugni per cercare di riprendere padronanza dei suoi pensieri. Quello sguardo, però, era il preludio di qualcosa che poteva fare paura…

Dire che questo libro è bello è riduttivo: è veramente ben scritto. Sembra di vivere in prima persona la storia dei protagonisti. Gli eventi, i colpi di scena, le peripezie, l’intreccio tra passato e presente creano una tensione che dura per tutto il racconto.

Tristan e Doralice vivono intensamente la loro storia d’amore, che fino alla fine è piena di colpi di scena. Sicuramente un libro che consiglio.

Buona lettura. Ciao, Lorena